ANIME CHE CONSIGLIO :FRUIT BASKET

La prima volta che lessi Fruits Basket avevo 13 anni e me ne innamorai follemente.

Ricordo bene come passavo le lezioni a scribacchiare onigiri, gatti e topi sui quaderni ed a riscrivere interi monologhi del manga.

Sono passati tanti anni da allora, dieci per la precisione, ma il mio amore per quest’opera non si è mai affievolito.

Ha un posto speciale nel mio cuore e penso proprio che non cederà mai lo spazio a qualcos’altro.

Potete quindi immaginare la mia gioia quando nel 2019 hanno annunciato il reboot dell’anime.

Sono sempre stata dell’opinione che fosse un’opera conosciuta ed apprezzata da poche persone pur non meritandoselo e sapevo, sapevo, che se fosse stata pubblicizzata meglio in tanti l’avrebbero amata.

È così è effettivamente stato.

Il reboot è stato un successone e Fruits Basket si è finalmente preso la sua rivincita.

In questi giorni l’anime si è concluso definitamente ed io, ovviamente, sono qui per una recensione.

La verità, però, è che non so bene cosa scrivere.

La verità è che quest’opera è così importante per me che mi viene difficile esprimermi.

Ci sono troppe cose che vorrei dire, concetti che vorrei esprimere ma che ho paura di non riuscire a rendere.

Tuttavia, farò del mio meglio.

Partiamo quindi dall’inizio:

Fruits Basket, scritto e disegnato da Natsuki Takaya, venne pubblicato in Giappone sulla rivista Hana to Yume dal 1998 al 2006.

Nel 2001 uscì il primo – incompleto – adattamento anime e nel 2019 è uscito il reboot – composto da tre stagioni – conclusosi pochi giorni fa.

Fruits Basket

TRAMA

La trama è apparentemente molto semplice.

Tohru Honda, la nostra protagonista, è una studentessa delle superiori che, dopo la morte di sua madre, si ritrova a vivere in una tenda.

Quando però essa viene travolta da una frana, ad offrirle ospitalità sono Shigure e Yiki Somha, quest’ultimo il suo regale e misterioso compagno di classe.

È con l’arrivo dello scontroso Kyo Sohma che Tohru scopre, accidentalmente, il segreto della famiglia Somha: tredici dei componenti, tramite il contatto fisico con l’altro sesso, si trasformano negli animali dello zodiaco cinese.

Convinta a vivere con loro a patto di non rivelare il segreto a nessuno, Tohru comincia ad incontrare uno ad uno i vari membri della famiglia Sohma posseduti da uno degli spiriti.

È però solo con il tempo che Tohru comincia a capire il peso di quella che è a tutti gli effetti una maledizione.

Fruits Basket

ANALISI

Se all’inizio Fruits Basket può sembrare il tipico shoju, si comincia a capire abbastanza in fretta quanto non sia in realtà così.

Presto, cominciamo a vedere l’atmosfera spensierata dell’inizio alternarsi ad una più cupa e, mano a mano che ci vengono presentati i diversi personaggi, capiamo – insieme a Tohru – che la maledizione nasconde molto più di quello che sembra.

La maledizione è qualcosa che grava sulle spalle di tutti i membri dello zodiaco, qualcosa che ricorda loro perennemente di non essere normali, di non poter vivere una vita normale.

È una maledizione che li condanna alla solitudine.

“C’erano cose che desideravo, cose che immaginavo. Dei genitori che mi abbracciano, una casa in cui voglio fare ritorno, un posto in cui tutti sorridono, un me stesso da cui nessuno si allontana. Un posto accogliente, una persona accogliente, esistono davvero, sono reali.”

Insieme ad essa, non aiuta neanche la presenza del capofamiglia Akito, colui a cui tutti i legami confluiscono.

Una presenza che porta solo angoscia e paura nelle vite dei membri dello zodiaco ma dalla quale non possono, non riescono, a separarsi neppure volendo.

Con il passare degli episodi, quindi, ogni membro dello zodiaco ci viene presentato e capiamo, insieme alla protagonista, quanto la maledizione abbia gravato sulla vita di ogni personaggio.

Ognuno dei personaggi soffre.

Ognuno di loro è tormentato da demoni, da paure e traumi.

Ed è proprio qui che Fruits Basket si supera.

Il potere di questa opera è proprio il riuscire a trattare questi argomenti con una delicatezza sconcertante.

Non è facile parlare di traumi, non è facile farlo senza rischiare di banalizzarli o di cadere nel paternalismo.

Fruits Basket, sorprendentemente, riesce a parlare di tutto ciò in modo realistico, diretto ed attento.

Fruits Basket è una storia che parla di vite lacerate e distrutte, di pezzi di coccio che, con molta cautela e delicatezza, vengono riassemblati.

Parla di un bisogno così forte di trovare il proprio posto nel mondo ed essere felici da provocare un terrore tanto profondo da bloccare il proprio corpo e la propria mente, non permettendo ad esso di fare alcun passo avanti.

Parla di dolore, angosce ed ansie che con tanto coraggio ed impegno vengono affrontate. Non dimenticate e non sempre superate, ma accettate.

È il viaggio dei protagonisti verso la luce, verso la pace, verso una vita più quieta.

Ed a fare da catalizzatore è proprio Tohru che con la sua gentilezza, la sua spontaneità e il suo affetto, accoglie ed accetta ognuno dei personaggi.

“Se paragoniamo gli uomini a un onigiri e le qualità che essi considerano buone a una umeboshi queste si troverebbero sulla loro schiena! Ciò significa che tutte le persone possiedono una umeboshi! Essa è diversa in forma, colore e gusto da individuo a individuo! Proprio perché si trova sulla schiena nessuno può vedere la propria, per quanto stupenda sia!
Può vedere soltanto il riso bianco. Anche se non è proprio così, anche se si ha una umeboshi sulla schiena si invidiano gli altri ! E questo perché si vede meglio la loro che la propria! Ma io riesco a vedere molto chiaramente sulla tua schiena la tua splendida umeboshi!”

Tohru si fa carico delle loro sofferenze e tiene loro la mano nei momenti di sconforto, diventando balsamo per le loro ferite.

Ferite che diverranno cicatrici e sempre lì rimarranno ma che per lo meno bruceranno di meno.

Tohru porta calore e amore tra i Somha che, fino a quel momento, avevano condotto un’esistenza oscura e piena di disperazione.

È colei che permette ai personaggi di vedere la luce infondo al tunnel, che dona loro quello di cui erano stati tutti ingiustamente privati.

Fruits Basket è un’opera dolceamara, piena di momenti spiritosi e altri drammatici che ti portano un attimo prima a ridere e poi a piangere e provare dispiacere per le vicende dei personaggi.

Ma è anche un’opera che ti scalda inevitabilmente il cuore.

Una di quelle opere che ti porta ad affezionarti ed a voler bene davvero a tutti i personaggi ed a coinvolgerti nelle vicende come poche opere sanno fare.

Fruits Basket

TOHRU E AKITO: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

Se potessi, mi soffermerei a parlare di quasi tutti i personaggi (in particolar modo dei miei preferiti come Momiji, Yuki ed Rin) ma ho pensato fosse doveroso fermarmi a parlare di quelli che probabilmente sono i due personaggi più importanti – e paradossalmente meno compresi – di Fruits Basket: Tohru ed Akito.

Da qui in avanti seguiranno spoilers, quindi, se non avete letto/visto tutta l’opera, vi invito a sospendere la lettura.

Partendo da Tohru, le maggiori critiche che leggo in giro riguardano principalmente il suo carattere ed in particolar modo la sua gentilezza.

L’odio per i personaggi buoni non è nulla di nuovo ma il punto è che Tohru non è semplicemente buona e dolce.

Anzi, la bellezza di Tohru sta proprio nel fatto che se all’inizio sembra un personaggio semplice e basico, più vai avanti con la storia e più inizi a capire che ci sia molto molto di più sotto.

Tohru ha subito tantissimi traumi, fin da piccola, che la portano ad essere ciò che è.

La morte prematura del padre, nello specifico, la porta non solo a cambiare modo di comportarsi per compiacere Kyoko ma anche a sviluppare paura d’abbandono ed ansia.

Queste cose, poi, si vanno ad intensificare ancor di più con la morte della madre.

Tohru è incredibilmente spaventata all’idea di rimanere sola ma, al tempo stesso, non riesce ad esprimere ciò che vuole davvero perché ha irrazionalmente paura che, esplicitando i suoi desideri, le persone si stanchino di lei o la ritengano un peso.

“Dietro la porta che lei conserva solo per sé… è come se qualcosa rischiasse di frantumarsi in silenzio. E’ solo una sensazione. Ma se accadesse non si potrebbe più tornare indietro. Spero che anche lei possa incontrare, proprio come a me è successo con Haru, qualcuno in grado di aprire dolcemente quella porta. Senza desiderare una persona simile non si può vivere. Chi comprende fino a che punto sia spaventoso restare soli non può vivere senza essere amato.”

Ed è per questo, come lei stessa ribadisce, che si è legata così tanto ai Somha. Perché loro l’hanno accettata ed accolta, l’hanno salvata allo stesso modo in cui lei ha salvato loro.

Il personaggio di Tohru, infatti, comincia davvero a maturare nel momento in cui decide di voler spezzare la maledizione ad ogni costo. Ancor di più quando viene a conoscenza del destino di Kyo.

In quel momento, Tohru mette da parte la gentilezza e l’educazione.

In quel momento, Tohru è egoista per la prima volta nella sua vita e questo la rende più forte.

Akito è, come il titolo suggerisce, l’altra faccia della medaglia.

Cresciuta in un ambiente incredibilmente opprimente, con una madre terribile e costretta fin da bambina a fingersi uomo, Akito è naturalmente cresciuta instabile.

E con la morte del padre, rimasta sola e senza il tipo di appoggio che aveva Tohru, Akito si è appigliata all’unica cosa che aveva: il legame con i membri dello zodiaco.

Ripetutole fino allo sfinimento quanto fosse speciale e quanto il legame fosse indissolubile, Akito ha riversato tutto in esso.

Le sue paure e le sue insicurezze comprese, al punto da diventare paranoica.

Anche lei terribilmente terrorizzata all’idea di essere abbandonata, ha fatto di tutto pur di tenere vivo quel legame.

Ovviamente con metodi brutale ed ingiustificabili ma considerando il modo in cui è stata cresciuta non stupisce molto la cosa.

“Ho promesso… ho promesso di restare al suo fianco. Fino al giorno in cui Akito non avrà più bisogno di me. Fino a quel giorno… Mi ha supplicato piangendo così tanto da star male.
Per questa ragazza, io vivrò.
E’ più debole di chiunque altro. E’ più fragile e insicura di chiunque altro.
Vivrò per questa Akito. Per una ragazza così triste.”

Alla fine dei conti, Tohru ed Akito volevano la stessa identica cosa: affetto, legami.

Entrambe si sono appigliate a dei legami (Kyoko, Akira e lo zodiaco), desiderando che questi rimanessero sempre gli stessi.

Ed anche qui, la crescita finale dei personaggi la vediamo proprio quando entrambe lasciano andare questi legami.

Perché non si possono legare a sé le persone così come non si può vivere nelle memorie.

E quindi, Tohru permette al suo cuore di accogliere ed amare Kyo, consapevole che questo non affievolirà certo l’affetto per sua madre.

Akito, invece, lascia andare i membri dello zodiaco e questo era l’ultimo passo per far sì che la maledizione si spezzasse definitivamente.

Akito può finalmente diventare una persona comune, abbracciare se stessa e la sua reale identità e vivere il resto della sua vita in pace, con l’uomo che ha sempre amato.

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